da http://www.larena.it/ Giovedì 22 Aprile 2010 - di Bartolo Fracaroli
La segnalazione spetta alla Sat, la Società alpinisti tridentini, ma di solito lo percorrono i veronesi Il rischio di perdersi è elevato
La novità è che non ci sono novità. Nemmeno dopo che «L'Arena», il 1° aprile, aveva messo in evidenza come il bellissimo sentiero che dal Veronese, dall'Orto Botanico di Novezzina (1232 metri), porta sul baldo orientale con una comoda mulattiera fosse segnato male, un tracciato su cui è facile perdersi. Il percorso si snoda attraverso malga Gambòn (1215), malga Prazagano (1253) e malga Cerbiolo (1299) all'omonimo passo, entrando poi in territorio trentino col sentiero «661» sopra malga Fassole (1312), traversando uno stupendo ripido bosco di grandi faggi e abete rosso, per arrivare sopra malga Aquenegre (1382) e sotto la strada Graziani, allo storico passo Campione sotto il Cavallo di Novezza (1433).Nonostante le segnalazioni ripetute alla Comunità montana del baldo, al Soccorso alpino di Verona, ai Gruppi alpinistici veronesi incaricati dalla Regione per la sentieristica, nessuno ha provveduto a rimarcare sui fusti degli alberi nei punti nodali e topici del tracciato antico, le bande rosso-bianco-rosso del catasto ufficiale Cai, a tabellarne i due lati, a risegnalare i tornanti, specie dove il pendio roccioso è ripido; proprio lì alcuni ancoraggi per i cordini in caso di ghiaccio e neve alta stanno a dimostrarlo.
Il sentiero non è veronese: è nel Trentino, e quindi compete alla Sat di Avio la sua segnatura. Ma è anche vero che lo usano soprattutto i veronesi. Si tratta infatti di un anello bellissimo sotto il monte delle Erbe con cima Paloni (1582) e cima delle Redutte (1610), che passa dai prati popolati d'estate da placide mucche e cavalli, al bosco, alla foresta, agli spalti del monte delle Erbe dove, con il tappeto di foglie e la neve che tutto unifica, pendenze e tracce comprese, bisogna aver gran occhio per orientarsi grazie pure ai rarissimi, labili vecchi richiami del sentiero che fu.Sulla carta non è di competenza veneta ma è verissimo che su dieci persone che lo praticano, almeno otto non sono di certo trentine; e quindi un po' di buon senso antico (e montanaro) avrebbe portato se non alla risegnatura (si sarebbe trattato, ovviamente, di un'indebita «invasione di campo») almeno a una segnalazione scritta alla Sat, che della perfetta funzionalità dei suoi tracciasti montani da sempre mena un vanto, in verità meritato. Nel frattempo, grandi tronchi d'alberi capovolti sono comunque caduti sulla pista, obbligando ad aggiramenti, scavalcamenti o a proseguire carponi. Nessuno ha riaparto il varco quando la neve era ancora alta, ciaspole ai piedi, occorreva sdraiarsi per andare avanti. Si rischiava comunque di fare la fine del malcapitato mantovano che in un iverno recente si perse e riperse, prese a scendere, passò la notte al freddo, in qualche modo, dentro una casàra a Pian de la Cenere (1004) e scese ancora, giù fino ad Avio (ben 1206 metri di dislivello) di dove riuscì finalmente a telefonare a casa. Un'avventura di cui avrebbe volentieri fatto a meno.Lui come 15 volontari del soccorso alpino veronese che inutilmente lo cercarono. Fosse stato un alpinista vero avrebbe rispettato la prime regole del caso: partire per tempo per non ritrovarsi al buio, avere una buona carta (quella dei gruppi alpinistici veronesi è perfetta, in scala 25mila). E tornare indietro, alla svelta, quando si fosse reso conto di essersi davvero perso.
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