domenica 9 novembre 2008

da www.larena.it: Bandierine per la pace sulla «Cima TIBET»

GIAZZA. Sventolano su un palo alto 4 metri, coloratissime, e arrivano direttamente dalle valli himalayane dove sono simbolo di spiritualità
di Vittorio Zambaldo.
C’è chi sulle cime del TIBET ci arriva davvero portando la bandiera di Verona, come nella recente spedizione «On the rocks» dei veronesi Andrea Zambaldi e Andrea Montolli, arrivati sulla cima dello Shisha Pangma (8.027 metri) e chi il TIBET lo porta nel cuore e ne ricostruisce lo spirito alpino alle porte di casa. Come Flavio Begali, socio della sezione Cesare Battisti del Cai, che da un trekking in Nepal nel 1998 nel Langtang, al confine con il TIBET, rimase folgorato dall’incontro con una comunità di monaci buddisti. Le loro multicolori bandierine di preghiera che sventolano nelle valli himalayane sono diventate per lui una bella ossessione: «Me ne ero procurate alcune in Nepal con l’idea di portarle sulle montagne di casa nostra e sistemarle sul gruppo del Carega», racconta Begali. È così che, d’accordo con Flavio Giuliani e Adriano Testa, compera un palo di quattro metri e il 12 settembre di otto anni fa lo pianta sulla cresta di Costa Media, all’uscita del sentiero attrezzato Angelo Pojesi, a 2.030 metri di altitudine, nello spartiacque fra la Valle di Revolto e quella dei Ronchi, poco più in basso di Cima Madonnina.Da allora continuano a sventolare lassù, attaccate al palo, le bandierine di preghiera TIBETane, rinnovate ogni tanto quando il vento le consuma: «Ad ogni amico che va in Nepal o in TIBET affido il compito di portarmene di nuove», rivela Begali.Dopo qualche mese arrivò anche una targa ricordo dell’amicizia fra il «Cesare Battisti» e la scuola di Gurmo-Selung, in TIBET, finanziata dalla generosità dei «battistini» tramite l’associazione Eco Himal di Tona Sironi Diemberger. Porta incisa la scritta «Free TIBET» e il mantra più famoso: «Om mani padme hum», che letteralmente significa «Salve, gioiello nel fiore di loto», ma il cui significato recondito è molto più profondo e spirituale e rimanda alla fonte della conoscenza e della propria realizzazione nella vita. Col tempo il crinale con le bandierine è stato preso da alpinisti ed escursionisti come punto di riferimento e comunemente chiamato «Cima TIBET», anche se in realtà non si tratta di una cima vera e propria.«Non ho voluto divulgare troppo la notizia delle bandierine perché in realtà non avevo nessuna autorizzazione per metterle e anche perché il territorio è di competenza della Sat di Ala: a voce avevo ricevuto rassicurazione che avrei potuto sistemare le bandierine, ma nulla più», racconta Begali, che a distanza di anni rivela il retroscena, ma si sente anche con le spalle al sicuro: «Sono passati di lì migliaia di alpinisti e nessuno ha sollevato lamentele: c’è stato insomma un tacito consenso, anche in considerazione dell’iniziativa che è soprattutto spirituale e pacifica».A conferma di questo è arrivato anche il recente evento dei fumogeni rossi accesi per solidarietà al TIBET, lo scorso maggio, durante la rivolta contro l’occupazione cinese e in occasione dell’apertura dei giochi olimpici di Pechino.A Cima TIBET, come su altre cime del Carega, si sono recati degli escursionisti che contemporaneamente hanno acceso di rosso il cielo, come annunciato su internet dalla pacifica protesta (The sad smoky mountains & skyscrapers) organizzata con un tam tam virtuale dall’alpinista ed editore vicentino Alberto Peruffo: «Ad agosto ero in vacanza a Courmayeur è ho fatto lo stesso gesto su una montagna valdostana», racconta Begali, «ma con il pensiero ero a Cima TIBET. Continuerò a prendermi cura di questo luogo», assicura, «perché sia punto di memoria per chi passa, luogo di sosta, di preghiera e di riflessione sulla pace e la tolleranza».

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