mercoledì 2 aprile 2008

Nuovo racconto di Marco Demo:

“fango!”
Eccoci di nuovo, stessa macchina, stessa meta, stesso finestrino. Un mese più tardi, un’ora legale dopo, un amore in meno ed io che non sono più lo stesso.
Imbocchiamo la valle di Recoaro, lasciandoci alle spalle una pianura Padana che nel tepore primaverile fa fatica a svegliarsi da un inverno inutile.
Scorre veloce un paesaggio di alberi da frutto che vorrebbero fiorire nonostante l’ennesimo nuovo capannone che toglie loro la brezza fredda che scende dalle montagne e che li farebbe godere del tepore del sole di primavera.
Più ci inoltriamo nella valle e più gli alberi appaiono grigi e rinsecchiti.
L’unica nota di colore è la fiancata di un furgone parcheggiato a bordo strada e che riporta la figura di un coccodrillo sorridente con la scritta “coccodrillo cornici”. Scopriremo solo qualche ora più tardi di quale arcano presagio si trattasse.
Questa volta ci dirigiamo al rifugio Campogrosso ancora circondato dalla neve. Il parcheggio è un lago ghiacciato su cui è difficile rimanere in equilibrio per infilarsi gli scarponi pesanti. Fa freddo e il sole non scalda, ma non appena ci incamminiamo verso il vajo dei colori, il movimento subito ci riscalda.
All’imbocco del canale la neve è invernale e molto profonda, ma con nostra grande gioia abbondantemente tracciata da una allegra comitiva che ci precede.
In breve siano al cosiddetto trivio: a sinistra si prende per l’attacco diretto al “vajo Supermosca”, a destra si esce dal vajo dei colori; noi ci dirigiamo al centro per uno stretto canale dove la neve è profondissima e un po’ pericolosa perché sotto alle suole degli scarponi che affondano si sentono delle croste di neve ghiacciata. Saliamo a fatica fino ad un piccolo anfiteatro roccioso da cui si dirama a sinistra un altro canalino più ripido.
Andrea fa sosta ed io mi avvio verso il risalto roccioso che se superato ci porterà nel “vajo Intramosca”.
Il tiro di corda è infido: roccia marcia impiastrata di neve ghiacciata. Non è possibile togliere i ramponi e dopo aver piantato un buon chiodo da roccia, decido che è meglio darsi da fare con le piccozze piuttosto che sollevarmi su qualche appiglio di roccia che potrebbe rompersi sotto al mio peso. Se non altro con le piccozze è come avere un braccio più lungo con un unico sottile dito che può infilarsi nelle fessure dove una mano, che veste un guanto spesso, non potrebbe entrare.
Come è più semplice risolvere i propri equilibri precari sulla neve ghiacciata di una crestina nevosa che nella sua perfezione e semplicità, non chiede altro che essere lasciata dov’è; che non aspetta altro che di sciogliersi al sole per poi formarsi nuovamente alla prossima tormenta invernale.
Raggiunto l’imbocco del vajo recupero prima Nicola e quindi Andrea. Risaliamo il canale di conserva fino nei pressi dell’uscita che però è sbarrata da una cornice di dimensioni notevoli.
Mentre Andrea cerca di organizzare una sosta su un solo chiodo da roccia io incito Nicola a forzare l’uscita. A Nicola, che per avanzare è costretto a scavare una trincea nella neve, non resta altro se non cercare di demolire un tratto di cornice che ora ci appare chiaramente strapiombante.
Lezione n°1 dei manuali di alpinismo: una sosta deve essere realizzata almeno su due punti di ancoraggio.
Lezione n°2: assicurarsi sempre alla sosta.
Lezione n°3: le cornici sono pericolose perché posso crollare a fette quando meno te lo aspetti.
E fu così che la cornice, sotto i colpi di piccozza di Nicola, decise di franarci addosso, strappando Andrea dalla sosta e spingendo me a faccia in giù nella neve una decina di metri più in basso.
La storia si conclude con delle grandi risate.
Ma la spensieratezza di questa breve avventura dura poco; la semplicità delle montagne, con i loro pendii innevati, in breve lascia libero il campo a tristi pensieri. Ritornando verso il parcheggio la neve si squaglia sotto i piedi, diventa marcia, bagna i piedi dentro gli scarponi, cambia colore, si mescola con la terra e diventa un fango che non riesco a togliermi di dosso.
Un giorno ho sentito cantare “ho licenziato Dio, gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell’anima e nel cuore…come potrò dire a mia madre che ho paura?”.
FANGO! "

post con foto e slideshow

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