giovedì 25 dicembre 2008

da www.larena.it «Noi, sul baldo, sepolti dalla neve»

bufera davanti al Rifugio "Fiori del Baldo" - photo by ADM
di Bartolo Fracaroli
Gli Oliboni gestiscono da anni il rifugio dei «Fiori». Per giorni sono rimasti isolati a causa delle bufere
Riaprono da Santo Stefano all’Epifania la bidonvia e la seggiovia che da Prada salgono a Costabella. Lassù, la scorsa settimana, quattro veronesi sono rimasti isolati per giorni a causa della bufera che ha accumulato metri di neve sulle creste della montagna. Sono i proprietari del rifugio «Fiori del baldo» a quota 1850, appena sotto il Chierego: qui abitano stabilmente Adriano e Anna Oliboni, con il figlio Moreno e sua moglie Cinzia Gaspari.Il rifugio è letteralmente immerso nella neve, che a queste altezze ha raggiunto i due metri e mezzo, ma in alcuni punti, dove il vento l’ha accumulata, si è arrivati anche a 4 metri. Gli Oliboni sono la famiglia più alta del Veronese.Li abbiamo raggiunti grazie all’Enel, che ha riassestato la linea elettrica abbattuta dalla tormenta alla Bocchetta di Naole (1648 metri). «Signora Anna, lo sa che dal 26 prossimo al 6 gennaio compreso la funivia riapre?». «Me lo dice lei». Dopo settimane di pioggia e neve - tanta come non accadeva da anni e anni - finalmente è tornato il sole e sono passati i primi scialpinisti, oltre ad alcuni snowborder. I primi sono saliti al Coal Santo (2072 m.) e ne sono tornati dicendo che il pericolo di valanghe era elevato. Ha fioccato tanto nei giorni scorsi, ora la neve si sta assestando, è arrivato il foehn e la neve si trasforma: gela la notte, si scalda di giorno e poi rigela: le slavine a lastroni, le peggiori, sono in agguato. Ce ne sono già state sopra malga Valfredda.«Me lo hanno detto due sciatori che hanno rischiato salendo da quel versante. Il vento ci ha costruito attorno vere e proprie colline di neve, è stata bufera per giorni», racconta la signora Anna, «di notte era fortissimo, urlava, al mattino non riuscivamo a uscire. Nessuno sciatore si azzarda sui costoni a nord: tagliare sui pendii la coltre vuol dire innescare il crollo fatale».E spiega: «Mio figlio scende e sale ogni giorno, con gli sci o le ciaspole, sotto i fili della telecabina, è l’unico percorso abbastanza sicuro che suggeriamo a tutti», dice. «Qualche esperto arriva anche da sotto le due Pozze di Pralongo (1250 metri), dove la strada è aperta fino al Cason, bisogna anche stare attenti in cresta alle instabili cornici che si protendono sul versante di Ferrara. La vecchia strada militare non si vede più. La nostra motoslitta potrebbe tagliare la coltre di neve e inoltre è rischioso, potrebbe capovolgersi. Eppure qualcuno viene sempre quassù, anche con la bufera: sono affezionati a noi e al baldo, ci portano chi il giornale, chi un chilo di pane, regali, cibo».Gli Oliboni hanno trascorso l’esistenza fra questi rifugi, gestendo il Chierego - che pure è sempre aperto nei fine settimana, come ora aprirà il Mondini (1550 metri) - per cinque anni dal 1967, quando non c’era ancora la bidonvia; il Telegrafo (2150 metri) per quindici, fino al 1984. Hanno anche abitato le grotte di Valdritta (2218 metri) per 7-8 anni ospitando gratuitamente tutti i «passanti». Inoltre hanno gestito il Mondini per una stagione. Poi hanno rilevato questo rifugio, costruito in legno per la seggiovia, letteralmente distrutto da una tempesta, ricostruito nel ’94 dalla famiglia Sciaretta che in seguito glielo ha volentieri ceduto, ma è stato scoperchiato da una tromba d’aria notturna nel 2002 (con loro dentro).Occorre costanza, passione, sacrificio. Adriano Oliboni, per tutti l’«Orso», faceva il ferroviere nei ritagli di tempo, adesso ha 73 anni ed è sempre una roccia. La tenacia qui è indispensabile anche se scappa qualche avvilimento a sentirsi non isolati ma dimenticati. Hanno 16 posti letto e servono, con l’esperienza e la pratica dei luoghi, l’ospitalità insieme a zuppa di fagioli, gnocchi di ortica, minestroni favolosi. Quando la seggiovia è chiusa l’afflusso è rarefatto ma anche selezionato, la montagna ritrova le sue dimensioni. Quando è aperta sono gli Oliboni i primi ambasciatori del baldo, utili a tutti, senza nessun aiuto economico. Belli e buoni quando c’è bel tempo, ignorati con il brutto. «Tre ore per togliere il ghiaccio e aprire la porta, due per arrivare alla legnaia», dice l’«Orso» al telefono, «una strada per salire con la jeep nella bella stagione che non ha mai visto uno stradino, spese altissime».Anna Oliboni, si commuove: «Però a noi piace essere qui, anche soli spesso, a noi piace rinnovare l’amicizia con chi arriva congelato nella nebbia. Abbiamo una grande fiducia in mio figlio e mia nuora, che ce la mettono tutta: quasi due ore con zaini pesanti da Prada, due e mezza dalle Due Pozze, con qualsiasi tempo, anche di notte, con carne, verdura, frutta, pane. Ci manca solo la nostra San Bernardo, Megj, che ci ha lasciato in settembre, salvata in un vallone dal Soccorso alpino anni fa: aveva 10 anni. Anche lei era utile, sentiva arrivare le persone col maltempo, le guidava, abbaiando nel buio. Sono i giovani il nostro futuro, quello del rifugio, quello del baldo».

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