sabato 19 luglio 2008

A Campobrun si è fermato il tempo

(photo by www.magicoveneto.it)
Da L'Arena del 18 Luglio 2008:
Se le mucche immaginassero il paradiso, con buona probabilità se lo figurerebbero molto simile all’Alpe di Campobrun: una splendida conca a 1.800 metri di quota, ricca di erba verdissima punteggiata da fiori gialli, di una stalla accogliente e di malgari premurosi che provvedono alla mungitura due volte al giorno, lasciando poi liberi gli animali di pascolare in un luogo dove non esiste alcuna forma di pericolo né di disturbo. Insomma, un paradiso, con tanto di angeli che lo custodiscono.Due, per l’esattezza: Lino e Leone Peloso. Originari di Campofontana, i fratelli Peloso a Campobrun rappresentano ormai un’istituzione, fanno parte del paesaggio estivo. In quella malga situata nel cuore del Carega, su quei prati racchiusi fra i contrafforti settentrionali del monte Plische e quelli meridionali della Costa Media di Cima Carega, nella conca erbosa che rappresenta l’embrione di quella che poi diventerà la Val d’Illasi, Leone e Lino da più di 50 anni trascorrono l’estate con la mandria. Per l’esattezza dal 1953. La data non deve stupire, perché Lino e Leone hanno 79 e 76 anni.Siamo sicuramente di fronte a due fenomeni, perché al giorno d’oggi sono ben pochi, non solo in città ma anche in montagna, quelli che, passata la settantina, sono in grado di vivere tre mesi in una malga isolata senza acqua corrente, elettricità e senza telefono, dal momento che lassù non c’è segnale per i cellulari e men che meno la linea telefonica. Ma a loro va bene così. L’importante è stare lì, far pascolare le mucche su quei prati ricchi d’erba e di fiori e produrre burro, formaggio e ricotta. Tutti prodotti buonissimi e genuini.Il burro, poi, a detta di chiunque l’abbia assaggiato è il più buono della montagna veronese. E che questi prodotti, proprio perché genuini, non facciano male alcuno (alla faccia del colesterolo) ci sono Lino e Leone a dimostrarlo: burro, ricotta e formaggio sono il loro cibo quotidiano da mezzo secolo, eppure hanno entrambi un fisico asciutto e tonico da far invidia anche a un cinquantenne. Non si pensi che la vita del malgaro sia una vacanza, però. Lino o Leone sono sempre indaffarati, dalle sei del mattino fino a sera quando, dopo aver riportato le mucche in stalla ed averle munte per la seconda volta, finalmente si concedono la cena e una buona dormita. Ogni tanto, a dire il vero, Leone confessa di concedersi una breve pennichella pomeridiana, mentre Lino a riposarsi non ci pensa neppure: di poche parole, dotato di una resistenza alla fatica che ha dell’incredibile, vuole seguire minuto per minuto il ciclo di lavorazione dei prodotti caseari. E guai distrarlo. Tanto lavoro e tanto impegno vengono ricompensati soprattutto dal piacere di portare avanti una tradizione antica.Per loro, infatti, l’attività in malga più che un lavoro è una modo di vivere, oltre che un buon pretesto per portare le mucche su pascoli più alti di quelli di casa. «Se le tenessimo tutto l’anno a Campofontana», spiega Leone, «le nostre bestie mangerebbero tutta l’erba dei prati e non ne avremmo più da tagliare per fare le scorte di fieno per l’inverno. In più l’erba di Campobrun è un toccasana per gli animali che, quando tornano a Campofontana, sono più sani e più robusti». Purtroppo delle 40 mucche di proprietà dei Peloso, solo 25 possono essere portate a Campobrun. Il pascolo, infatti, non può fornire nutrimento ad un numero superiore di bestie. «Bisognerebbe che venissero tagliati un po’ di mughi», dice sempre Leone, «in modo da poter ampliare il terreno di pascolo. Una volta c’era spazio per una quarantina di animali, oggi ci dobbiamo accontentare. Ma a noi basta anche così».La malga attuale è stata costruita negli anni Cinquanta, quelle originarie risalgono alla fine del secolo scorso, ancora visibili a poche decine di metri dall’edificio. «Nella prima metà degli anni Cinquanta», racconta Leone, «lavoravamo nelle malghe vecchie. Dal 1957, cioè da quando è stata finita la malga nuova, quelle vecchie sono state abbandonate, ma c’è un progetto per il recupero. Sarebbe un vero peccato che andassero distrutte».(Eugenio Cipriani)
Fonte : L'Arena - 18 Luglio 2008

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